È impossibile non provare simpatia per Augusto Cappellano. Alto alto e magro magro, con in testa un cespuglio di forma mutevole, sempre pronto al sorriso. Sembra un ragazzino, anche se ormai di anni ne ha più di quaranta. Siamo in periodo di vendemmia, e non gli è stato facile trovare una mattina da dedicarmi. Lo raggiungo nella sua cantina di Serralunga d’Alba; oltre alla vendemmia, ci sono anche i muratori, e Augusto per tutta la mattinata si dividerà in tre, per dare retta a tutte le incombenze. Io ci metto del mio, cancellando con un gesto inconsulto la scheda fotografica con tre ore di lavoro fatto. Per fortuna Augusto la prende bene; si mette a ridere, mi offre un Barolo Chinato con cioccolato, e ricominciamo.
«Tutto è cominciato con il mio trisnonno, notaio con una grande passione per il vino, che nel tempo aveva messo insieme diverse proprietà e aveva iniziato, per puro diletto, a vinificare.
Suo figlio Giovanni, mio bisnonno, aveva deciso di rompere la lunga tradizione notarile e si diplomò in enologia, inaugurando così un’altra tradizione familiare. Morì però giovane, in Nord Africa, dove era andato a cercare un vitigno che fosse resistente alla fillossera. L’azienda passò allora nelle mani del fratello Giuseppe. Anche lui avrebbe voluto fare altro, era farmacista, ma fu fagocitato da questa grande spirale del vino che attraversa la nostra storia. Erano anni in cui i farmacisti avevano una conoscenza approfondita delle erbe medicinali, e l’incontro tra l’arte del vino e l’erboristeria lo portarono ad inventare, nel 1895, il Barolo Chinato. Dopo Giuseppe arrivò mio nonno, Francesco Augusto, un tipo avventuroso che prima di diventare vignaiolo aveva fatto, tra le altre cose, il camionista in Africa e l’allevatore di cavalli. Diede nuovi impulsi alla cantina di Serralunga, e riuscì a mettere in piedi un’azienda vinicola anche in Eritrea, dove visse a lungo. E lì nacque mio padre, che tornò in Italia nel 1970, quando ereditò l’azienda piemontese. Poco dopo vendette la vecchia struttura, fece un mutuo impressionante e costruì la nuova cantina, questa dove siamo adesso. A ripensarci, era davvero giovane, aveva solo ventisei anni, ma era pieno d’entusiasmo, che era la sua incredibile caratteristica. Non si limitò a rifare gli edifici, ma ridiede credibilità ad un marchio che negli anni si era indebolito, l’azienda Cappellano aveva subìto una flessione. Lui in pochi anni riuscì a risalire la china, con enorme dedizione. Mi trascinava sempre con sé, anche se da bambino a tutto pensavo tranne che a fare il vignaiolo, non ne avevo assolutamente voglia. Cercai anch’io di sfuggire alla spirale della cantina, studiando Ingegneria chimica, ma nel 2003, finiti gli studi, mi ritrovai a un bivio, indeciso se proseguire la carriera universitaria o affiancare mio padre in azienda. Mi fu fatale una giornata passata in vigna, a potare. La potatura è un lavoro speciale, che porta con sé il piacere del lavoro manuale, e non è mai ripetitivo, ogni vite è a sé stante, quindi bisogna darle attenzioni particolari. Si lavora in un assoluto silenzio, ed è un modo per incontrarsi, stare da soli con sé stessi. Alla fine di quella giornata ero rimasto da solo, in vigna seduto lungo un filare. Lentamente è apparso un tramonto meraviglioso, e a quel punto mi sono detto: “Questa è la mia strada!”, la magia del vino aveva toccato anche me».
video: Mauro Fermariello montaggio: Mauro Di Schiavi
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Gianni Morgan Usai dice
Anche Augusto ha la magia del grande, inarrivabile Baldo…
marziano dice
10 minuti e mi viene voglia di fare un viaggio a conoscerlo..e a comprare il vino ovviamente. anzi tutti i vini,