Ha un aspetto austero, la Cantina Girlan di Cornaiano. Sarà la giornata grigia, o le mura dell’edificio anch’esse grigie punteggiate da finestre piccole, ma l’impressione è quella di entrare in un convento. Anche l’enoteca ha volte grigio-scure, ma i faretti che illuminano lunghe file di bottiglie e una musica lounge mi fanno sperare che uscirò di qui dopo una buona bevuta, invece che dopo qualche penitenza.
Ad attendermi c’è Gerhard Kofler, l’enologo. Una breve presentazione e poi parte sparato, sa il fatto suo e andrà avanti sicuro senza interruzioni: «Siamo su una collina, il punto più in alto qui in Oltradige. Abbiamo ottimi terreni, le vigne sono ben esposte e godono di una buona ventilazione. La nostra cantina è costituita da duecento soci, per duecentoventi ettari di vigne. La maggior parte attorno al paese, poi in due zone importanti fuori dal nostro comune; Caldaro, dove abbiamo parecchi soci conferitori, e Mazzon, nel comune di Egna, dove troviamo il pinot nero.
Produciamo 20.000 quintali di uva, per 1.600.000 bottiglie all’anno; abbiamo tutta la gamma dei bianchi altoatesini, pinot bianco e chardonnay in testa, mentre tra i rossi i nostri punti di forza sono pinot nero e schiava, che meglio si adattano alle nostre zone. Vendemmiamo anche lagrein, merlot e cabernet, ma in zone più calde della Bassa Atesina, come Egna e Cortaccia.
Per noi la schiava è davvero importante; è un vitigno autoctono, con cui è nata l’enologia in Alto Adige. Pratiche non del tutto corrette le han fatto perdere un po’ di gloria negli anni passati, ma recentemente diverse cantine, producendolo con lo stesso impegno e con tecniche simili a quelle utilizzate per vini bianchi e Pinot nero, le stanno restituendo parte del suo antico prestigio. Ci sono vigne di schiava molto vecchie, anche di 80/100 anni, che producono uve mature, più concentrate, e danno vini complessi, armonici e longevi, cosa più difficile da ottenere con vigne giovani.
Discorso diverso per il pinot nero; è l’unico vitigno con cui in Alto Adige ci confrontiamo a livello internazionale, per cui credo sarà il vino rosso del nostro futuro. Le montagne assicurano forti escursioni termiche, fondamentali per raggiungere frutto e freschezza per questo vino, che vive di eleganza e finezza.
Il vantaggio dell’avere viticoltori con appezzamenti molto piccoli è che si riesce ad essere estremamente reattivi, potendo questi lavorare le vigne in tempi molto brevi. Questo ci permette di prendere più rischi in vendemmia; chi ha grandi superfici a un certo punto deve raccogliere, per non rischiare repentini cambi del clima. Noi possiamo aspettare fino all’ultimo minuto, sapendo che in uno/due giorni riusciamo a vendemmiare anche cento ettari, potendo contare sul lavoro di tanti piccoli produttori. Questo alla fine significa qualità.
Lo svantaggio è il dover mettere d’accordo duecento teste, impresa non sempre facile; ma se al produttore spieghi dove vuoi arrivare, qual è il cammino da fare per ottenere qualità, e se lo soddisfi economicamente, non farà fatica a seguirti. Deve capire che il lavoro non termina con la consegna dell’uva; anzi, lì è dove per noi il lavoro inizia. Il contadino deve emozionarsi, deve essere orgoglioso che la sua uva finisca in una bottiglia prestigiosa. I soldi non sono tutto, se sarà coinvolto lavorerà più convinto in vigna per raggiungere gli obiettivi qualitativi che ci proponiamo».
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