“Io non ce l’ho un Verdicchio ideale, il Verdicchio è il Verdicchio”.
Esordisce così Lucio Canestrari, mentre percorriamo la strada polverosa per andare in vigna; dove la moglie, Fiorella De Nardo, con la squadra di operai, sta portando a termine la vendemmia. Sono nella vigna di Spescia, un erto pendio che fronteggia il paese di Cupramontana.
“In realtà, parlare del vitigno è riduttivo, il vitigno si esprime su di un terreno e con un microclima specifici. I miei due vini, Gaiospino e Coroncino, sono fatti entrambi con uve Verdicchio, addirittura partendo dagli stessi innesti. Ma sono profondamente diversi, perché diversi sono i terreni d’origine. Il Coroncino viene da un terreno argilloso, mentre il Gaiospino viene da una marna calcarea.
Questo anche perché sono vent’anni che non concimiamo, per cui il terreno sa proprio di terreno, esprime quel che ha, e non prende il gusto di sostanze aggiuntive”.
Gli chiedo come ha fatto, lui di Roma, a ritrovarsi a vivere su queste colline.
“Dopo il militare sono venuto a Staffolo, non avevo voglia di tornare a Roma. Mio padre aveva comprato una casa, su a Coroncino, che cadeva a pezzi. Per tre anni, sono stato lì a sistemare quella casa. Praticamente, l’ho smontata e rimontata, e ho rifatto tutti gli impianti. Non l’avevo fatto mai, me so’ ‘mparato. Abbiamo cominciato a piantare le nostre vigne pezzetto dopo pezzetto. Ma proprio pezzetti, si piantava per i soldi che c’erano. Prima si compravano le viti, e dopo due-tre anni bisognava prendere anche pali e fili. A un certo punto le dimensioni sono diventate sufficienti, il lavoro è diventato redditizio, e siamo rimasti qua.
Gli ettari di vigneto sono dieci e mezzo, otto nostri e il resto in affitto. Praticamente è tutto Verdicchio, solo un due per cento delle viti sono di Trebbiano, e sono concentrate principalmente in uno dei vigneti in affitto. C’è pure un mezzo ettaro di uva rossa, Sangiovese grosso e Syrah.
Non abbiamo mai avuto obiettivi particolari, mete da raggiungere. Abbiamo sempre fatto quello che ritenevamo opportuno, quello che ci sembrava giusto. Non siamo biologici perché dobbiamo presentarci in qualche modo, anche perché sulla bottiglia non è che compaia. Lo siamo e basta, semplicemente perché riteniamo sia giusto, perché lavorare in questa maniera mi consente di entrare in vigna quando voglio, di mangiare l’uva senza avvelenarmi.
Un bicchiere di vino ti racconta un anno di vita di una vigna, con quell’uomo, quell’agricoltore.
Quello che hai nel bicchiere è il risultato dell’andamento climatico dell’annata, coniugato con tutti gli interventi, come la potatura secca, quella verde, e la coltivazione di quell’agricoltore. Il risultato, se non fai altre porcherie, ti dà quell’informazione, ti dà quel racconto.
Tutti i nostri vini Verdicchio ricadono sotto la denominazione Verdicchio Castelli di Jesi. Con questa denominazione facciamo il Bacco, il Coroncino e il Gaiospino. Più il Gaiospino Fumé, che avevamo smesso di fare nel 2006, e tornerà tra un paio d’anni, ed è un Gaiospino fermentato in tonneau di rovere nuovi. E poi lo Stracacio, fatto con un incrocio di uve Verdicchio e Riesling, prodotte da Bruni, E il Bambulé, un passito di Verdicchio. Poi c’è un rosso, il Ganzerello, uscito come vino da tavola e poi come Igt, ma il nome non cambia la sostanza, sempre Ganzerello è !”
video: Mauro Fermariello montaggio: Mauro Di Schiavi
di più: www.coroncino.it
Una bellissima coppia che crede veramente in quello che fa
“NDO ARIVO METTO ‘N SEGNO”