Fisico robusto da contadino, testa da ricercatore – decorata da un gran paio di baffi – Franz Haas è sempre alla ricerca della sua zolla filosofale, la vigna perfetta per creare il vino ideale. Di solito, i vignaioli provano a spiegarti perché i loro vini siano così buoni. Franz, invece, cerca sempre di capire com’è che potrebbe migliorarli. Lo raggiungo in un pomeriggio di metà settembre; cassoni pieni d’uva emettono riflessi d’oro nel cortile, mentre lui con un blocco d’appunti e un cronometro gira intorno a una pressatrice. Mi scruta, e con un sospiro mi concede un’ora.
«Vuoi la storia vera?» mi chiede con aria seria. Accenno un sì col capo, e lui attacca. «Mi considero un figliol prodigo. Avevo forti contrasti generazionali con mio padre, mi allontanai dall’azienda, volevo fare altro. Poi lui si ammalò, e dovetti rientrare. Era il 1986, ebbi la fortuna di studiare con un professore che riuscì a scatenare in me la gioia di questo lavoro, e oggi sono felice perché al mattino non penso che devo andare a lavorare, ma che posso andare a lavorare.
Amo il mio lavoro, e sono riuscito a contagiare la mia squadra; sono più di trent’anni che gestiamo questa azienda, portando avanti diverse idee. Una di queste è andare in altitudine per compensare il cambiamento climatico, e col tempo ci stiamo riuscendo; al momento siamo arrivati a 1.150 metri. In altitudine c’è maggiore ventilazione, minore umidità, escursioni termiche più consistenti, temperature massime minori di sei gradi rispetto alle quote abituali, e la luce è diversa; nella vigna a 900 metri abbiamo quattro ore al giorno di sole in più. Sopra i 1.000, la qualità della luce fa sì che gli acini rimangano più piccoli, con un rapporto buccia/polpa a favore di quest’ultima, consentendo maggiori concentrazioni. In queste condizioni la natura ci aiuta a praticare una viticoltura biologica. Ovviamente le rese si abbassano, se qui produciamo sessanta quintali per ettaro, lassù quaranta sono già tanti. L’azienda è a Montagna, e le vigne vanno dai 250 ai 1.150 metri, nei comuni di Egna, Trodena e Aldino. Il nostro vitigno è il Pinot nero, che copre un terzo della produzione, il resto sono i classici bianchi dell’Alto Adige. Lavoriamo le uve di settanta ettari, con una produzione di circa 400.000 bottiglie. Abbiamo una densità d’impianto tra le più alte dell’Alto Adige, circa 9.000 piante per ettaro, con rese molto contenute. L’idea è che queste rese ci aiutino a tener sane le piante, a tenerle in armonia e ad alzare la qualità.
Più di 25 anni fa con un nostro Pinot nero arrivammo secondi in una manifestazione di livello mondiale. Ho rifatto più volte la degustazione di quel vino per capire cosa vi avessero trovato per premiarci così, e alla fine l’ho capito. Non stavano cercando il Pinot nero più tipico, ma quello tecnicamente più pulito. E devo riconoscere che sulla tecnologia in Alto Adige siamo bravi, il cambio generazionale di trent’anni fa ha portato nelle aziende giovani molto preparati, che girano il mondo, degustano, sanno cosa far per eccellere. Io cerco di fare un Pinot nero piacevole, morbido ed elegante, perché è un vino che non vince con la forza o per la concentrazione, ma per erotismo e femminilità. E noi forse ci siamo riusciti.
Lavoriamo perlopiù con vitigni storici della zona, ma stiamo sperimentando anche vitigni che vengono da fuori, perché il cambiamento climatico imporrà una revisione della viticoltura in Alto Adige. Siamo fortunati, perché possiamo salire in altitudine, dove poi troviamo terreni con esposizioni perfette fino a 1.500 metri.
Il futuro? Vorrei concentrarmi sulla produzione di vini biologici, e soprattutto vorrei divertirmi col mio lavoro. Ci sono nuove zone da esplorare, nuovi vitigni da provare…».
Alessandro dice
Un vero signore del vino!