La tenuta Garlider è a Velturno, nel cuore della Val d’Isarco. Dal 2003 la conduce Christian Kerschbaumer, un omone grande e grosso dai modi delicati e il sorriso gentile. Al mio arrivo mi guarda stupito e nega di avere un appuntamento, poi controlla l’agenda e si mette a ridere, «l’avevo dimenticato!»
Andiamo subito in vigna, e intanto Christian racconta: «Mio nonno aveva tre ettari di prati, grano, alberi da frutto, poche mucche e qualche vite per il consumo familiare. Quando nacque la cantina sociale, aumentò il numero di viti, e lo stesso fece mio padre. Alla fine degli anni ’70 tutti i prati erano stati convertiti in vigne.
Christian è soddisfatto della sua azienda, e sembra in pace con sé stesso. «È un lavoro duro, faticoso, si fa tutto a mano. Ma la sera sai cosa hai fatto, e sei sereno. A quattordici anni già lavoravo in azienda, intanto che seguivo la scuola agraria. Poi sono andato a lavorare in un’officina, è nata una grande passione per le moto, credevo fosse quello il mio futuro. Questo fino al 2003, anno in cui ho deciso di imbottigliare il nostro vino. Già dal ’99 lavoravamo in condizione biologica, ci mancava solo l’ultimo passo per chiudere il cerchio, e arrivare direttamente al consumatore finale. La nostra è un azienda familiare, ci lavorano ancora i miei genitori, mia moglie dà una mano in estate, e i ragazzi han cominciato a darsi da fare anche loro». E mi mostra orgoglioso il piccolo allevamento di capre e lo stagno per le anatre, messi su e seguiti da Philipp, il figlio 15enne.
Vitigni principali della Tenuta Garlider sono il sylvaner, tipico della Val d’Isarco, e il grüner veltliner; insieme fanno il 60% della produzione. Nelle vigne più alte, sugli 800 metri, c’è del müller thurgau, poi ancora pinot grigio, gewürztraminer e pinot nero. In totale, i bianchi coprono il 92% della superficie.
«Un vino deve avere un’anima. Quando faccio un vino, cerco di capirlo non solo con il naso, ma con tutto il corpo. Si sente se un vino cresce in vigna o se viene costruito in cantina. Se viene lavorato con basse temperature, se nell’aroma vengono fuori i frutti primari, insomma, se è un vino “tecnologico” lo senti. Casomai colpisce al primo assaggio, così ricco di profumi sembra più buono. Ma se continui a berlo, se apri uno scambio con lui, alla fine manca qualcosa, e questo qualcosa non sempre è descrivibile».
Come l’anima, direi.
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