Avevo visitato La Sibilla tre anni fa, per preparare una mostra fotografica per Mediterraneo e dintorni. Avevo sistemato i flash, e poi disposto Restituta e Luigi Di Meo dietro una fila di bottiglie.
Restituta quel giorno era in gran forma, Luigi un po’ meno; forse stanco, la foto non veniva. Allora ho cominciato a dirgli: “Un po’ più a destra, ancora un po’!”, finché è uscito del tutto dall’inquadratura. Bella foto, ma senza di lui.
Appena mi vede e mi riconosce, si mette a ridere ricordando l’episodio. Al primo incontro, molto breve, non avevo avuto modo di conoscere veramente Luigi. Oggi scopro una persona squisita, molto gentile, e con un gran senso dell’umorismo. Mentre racconta, si appassiona; non solo dei prodotti che vende, ma anche per quelli che tiene per sé, come l’acquata, antica pratica contadina (spremitura dei graspi) per ottenere una bevanda che in campagna disseti e corrobori.
La famiglia Di Meo produce vino da cinque generazioni, a Bacoli, ed occupa gli attuali terreni dal 1930, quando il nonno si trasferì con i cinque figli (divenuti poi nove) in una casa colonica costruita su resti archeologici (i contadini costruivano le proprie case su grotte tufacee, che utilizzavano come cantine). Di tutta la famiglia, solo Luigi ha continuato a lavorare le vigne; a 15 anni, decide di lasciare la scuola e di seguire la sua passione per la terra, in contrasto con i desideri del padre. In questa scelta, fondamentali l’appoggio del nonno e l’incontro con Restituta, anche lei di famiglia contadina, con cui crea La Sibilla negli anni ’80. Oggi in azienda collaborano anche i figli Vincenzo, enologo, e Salvatore, sommelier, con la supervisione dell’enologo Roberto Cipresso.
L’azienda è di 9,5 ettari, con terreni di origine vulcanica, cenere e lapilli, ed esposta ai venti salmastri. Le condizioni pedoclimatiche hanno fatto sì che le viti della zona siano ancora a piede franco, e donano ai vini della Sibilla freschezza e sapidità.
I vitigni sono quelli tipici dell’area campana quali falanghina e piedirosso, ed altri recuperati dall’oblìo come marsigliese e olivella (rossi), coda di volpe e verdeca (bianchi).
E proprio da un uvaggio di piedirosso, olivella e marsigliese (che apporta colore e tannini) che nel 2006 è nato il Marsiliano, unico dei vini della Sibilla ad avere un passaggio in barrique.
Da uve passite di falanghina nasce invece il Passio, fortemente, e a ragion veduta, voluto da Restituta.
I vini della Sibilla è meglio acquistarli in zona, così, quando poi li berrete, potrete ricordare l’antro della Sibilla, le meraviglie archeologiche del Castello di Baia, il lago d’Averno o la spiaggia dove sbarcò Enea. Se è vero che il vino è storia, di sicuro la sua storia è passata di qui.
Per saperne di più: www.sibillavini.it
Alessandro dice
Infiniti paesaggi, ognuno dei quali capace di offrire un mondo fatto di sapori e profumi, viti a piede franco sono certamente una rara eccezzione capaci di dare un vino frutto non solo del territorio ma anche di un’anima storica da preservare con cura.