Noialtri, tuttalpiù, abbiamo il nostro nome scritto col pennarello sulla targhetta del citofono. Alessandro Starrabba Malacari ce l’ha inciso nel marmo (e in latino, Malacarius), sulla lastra a forma di mezzaluna che sovrasta il grande portone verde di Villa Malacari, a Offagna.
La villa è del seicento, pareti rossastre ricoperte d’edera, giardino all’italiana, vialetti di ghiaia e grandi alberi ombrosi. Al piano terra c’è la cantina, e al primo gli appartamenti. Li visito con Alessandro, che è arrivato strappandosi a forza da un gruppo di clienti belgi, che l’han tenuto a tavola fino alle quattro del pomeriggio. Visitiamo le stanze della villa, e tutto ha un respiro storico, i mobili e i quadri antichi, la bella biblioteca, le vecchie foto e le lettere degli antenati. Uno di questi fu triumviro della Repubblica Anconetana, e il trisnonno risalì l’Italia con Garibaldi. Quattrocento anni di storia, e tutti sulle spalle di Alessandro che, benché magro, li porta con dignità e allegria nel nuovo millennio.
Studente a Roma, appassionato di storia, si trova a ventun anni a fronteggiare la perdita del padre, e a dover decidere del suo futuro. Scelse di tenere in vita questa realtà, accettando di cambiare completamente vita.
“Il vino era la passione di mio padre; lavorava a Roma, viaggiava molto, ma amava queste campagne, sovrintendeva a tutti i lavori qui, e non si perdeva una vendemmia. Coltiviamo diciannove ettari, e un unico vitigno, il Montepulciano. Lo produciamo in purezza, utilizzando sia le vecchie selezioni massali degli anni ’70, sia i vitigni ottenuti in collaborazione con l’Università di Milano e l’Ente di Sviluppo Marche, risalenti alla fine degli anni ’90.
Facciamo circa 55.000 bottiglie, 45.000 sono di Rosso Conero, soltanto 5-7.000 sono Riserva, più piccole quantità di Rosato e Verdicchio. Ci tenevo ad avere il Vedicchio dei Castelli di Jesi, uno dei migliori vitigni bianchi italiani, e lo volevo Doc. Non potendo produrlo qui da me, la legislazione non me lo consente, mi sono appoggiato a un collega di Cupramontana.
Il vino più importante è una riserva, il Grigiano, e prende il nome dalla collina di produzione. 5-7000 bottiglie annuali, un’attenta selezione di uve nel vigneto, e un’ulteriore selezione in cantina, con tavolo di cernita. Quindici giorni di fermentazione in acciaio, sulle bucce, e poi due anni di affinamento in botti di rovere francese, tonneau da 500 litri.
Altro vino è il Villa Malacari, dal nome della cantina, con vigneti di 10-12 anni, un anno di affinamento in botte, ed è un Rosso Conero doc.
L’Osè è un rosato, sempre da uve Montepulciano, e il nome è un riferimento a un affresco di “Leda e il cigno” che c’è all’interno della villa, dipinto da un antenato Andrea Malacari, architetto, che decorò alcune parti della casa. L’ultimo vino si chiama Vinea Misturi, un Verdicchio. Anche questo è un vino affettivo; la famiglia di mia madre, Malacari Misturi, proviene da Jesi, e anche se oggi non abbiamo più proprietà in quella zona, ho voluto conservarne il ricordo.
Il vino perfetto? Mah, ogni volta che apro una bottiglia, ho sempre un grande timore.
È come un figlio, sono ansioso che possa piacere, ne sono orgoglioso, e ho timore di tutti i limiti che può avere. Sono conscio dell’imperfezione, che fa parte del lavoro e della vita.
Non sono vini perfetti, quelli che riusciamo a fare, quello che mi interessa è che abbiano carattere. Il maggior complimento ce lo fece qualche anno fa la guida dell’Espresso, dicendo che “Malacari produceva la miglior espressione tradizionale del Rosso Conero”. Ecco, questo è il vino che vorrei, che racconti quel tipo di vitigno, in quella vigna, in quel tipo di terreno.
Fatto con uve coltivate al meglio, omogenee e ben mature, fermentate con rispetto”.
video: Mauro Fermariello montaggio: Mauro Di Schiavi
di più: www.malacari.it
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