Emanuela Mastrodomenico e il padre Donato mi aspettano sulla soglia della cantina. È la classica cantina di Barile; qui l’intera collina è punteggiata da portali che introducono a grandi spazi scavati nel tufo. Create dalla comunità albanese che si insediò a Barile (come in altre località del Vulture) cinque secoli fa, oggi costituiscono l’ambiente ideale per conservare il vino.
L’azienda è condotta da Emanuela e Giuseppe, con la supervisione di Donato, agronomo. Sono in tutto otto ettari, e il vitigno è aglianico, allevato a guyot. Le vigne sono in contrada Acquarossa, a Rapolla, a 350 metri d’altezza. Quando arriviamo, sono colpito dalla vegetazione alta tra i filari, e Donato mi spiega che ha scelto di non tagliare l’erba per proteggere l’uva dal sole di un’estate particolarmente calda.
Emanuela racconta con passione la storia dell’azienda. I vigneti furono impiantati da Donato, inizialmente per vendere l’uva a terzi e per soddisfare il fabbisogno familiare. Poi, considerata la qualità del prodotto, si è deciso di imbottigliare in proprio. E, dai primi assaggi, non posso che approvare la decisione.
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