Barolo. Se siete astemi, non andateci. Se l’odore del mosto vi disturba, se non amate lo scintillio delle bottiglie, lasciate perdere.
Perché Barolo è “il vino”, in Italia. Il paese è piccolo, sembra un vascello fra le onde dei vigneti; c’è un lungo corso dove ad ogni passo troverete enoteche, cantine, osterie.
E’ come essere in una fiction, dove tutti si conoscono; al bar incontri il gestore della locanda dove alloggi, e la sera al ristorante ritrovi i produttori visitati in mattinata.
C’è un tempo lento, e me lo godo tutto. Passo la mattinata in cantina da Maria Teresa Mascarello, e poi a passeggiare nel loro storico vigneto, i Cannubi.
Così ispirato, affronto nel pomeriggio il Museo dei Cavatappi, giusto ai piedi del Castello. L’ho scoperto prima di partire, su internet, e non mi aspetto niente di che. Di solito, i musei così specifici sono tristi, pieni di polvere, senza vita.
E invece, bella sorpresa, non è niente male. L’ingresso è un negozio allegro, dove si possono trovare libri, bottiglie, manifesti, grembiuli e, ovviamente, cavatappi. Se c’è qualcosa che riguarda il vino, loro ce l’hanno. Mi accoglie Sandro Minella, narratore del vino (sa proprio tutto), e da lui mi faccio raccontare la storia di Barolo e del suo vino.
Per la visita del museo mi accompagna Paolo Annoni, farmacista e titolare del museo. La sua storia è singolare: torinese, si è trasferito in Langa per una vita che prevedesse aria e vino buoni e meno rapine. Un amico per l’occasione gli regala un cavatappi antico, lui ne trova un altro in un mercatino, in poco tempo diventano più di 1.500, addio ricette e sciroppi, ed ecco il museo.
In uno spazio minimo troverete la storia dei cavaturaccioli, con esemplari curiosi e alcuni davvero belli; il mio preferito è quello che unisce tutti i mie vizi (vino, fumo e cavalli). Buone le luci e niente polvere.
La visita guidata la trovate nel video, ma sono sicuro che, se andate a trovarlo, Paolo sarà felice di accompagnare anche voi.
di più: www.museodeicavatappi.it
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