Sono anni che incontro Elisabetta e Luigi Musto Carmelitano andando per fiere in giro per l’Italia, e da sempre avevo l’intenzione di passare a trovarli in azienda. Intenzione che si è vieppiù rafforzata quando un paio di mesi fa ho aperto per cena una bottiglia di Maschitano.
Arrivo a Maschito che è ancora buio. Mi aspettano al cancello, ripartiamo subito per andare in campagna, nelle vigne di Serre del Prete. Appena arrivati, Elisabetta, Luigi e gli altri raccoglitori distribuiscono le cassette lungo i filari. Mentre monto la mia attrezzatura, una lama di luce rossa annuncia l’inizio della giornata. Tutto odora di terra e uva, gli uccellini impazzano, e io sto così bene che mi congratulo con me stesso di non lavorare in un ufficio (ma se qualcuno stesse pensando di assumermi, mi chiami pure).
Comincio a seguire i raccoglitori, come mio solito strisciando tra i filari, inzaccherandomi con la rugiada e creando delle simpatiche striature color fango sui miei vestiti. A un certo punto riesco a intercettare Elisabetta per un’intervista. Elisabetta ha sempre dei punti di vista interessanti, e li manifesta con frasi brevi e fulminanti. A microfono spento. Col microfono accesso, ti guarda con aria stupita, “cosa debbo dire?”, e più che un’intervista mi sembra di effettuare a un parto plurigemellare. Appena spengo il microfono, Elisabetta torna al sorriso e ricomincia a dire cose meravigliose.
A metà mattina andiamo a vedere le vigne di Pian del Moro, con viti che arrivano a cent’anni, a piede franco. C’è una luce stupenda, e i colori dell’autunno. Riescono a portarmi via solo con la promessa che in cantina ci sarà qualcosa da mangiare. “Qualcosa da mangiare” è un understatement tutto meridionale per indicare quantità di cibo strabilianti. E infatti, mentre finisco le riprese in cantina, in giardino viene apparecchiata una tavola come in un giorno di festa, cui rendo tutti gli onori del caso. Provo diversi vini, ma il caldo mi fa prediligere un freschissimo Dhjetë (vuol dire dieci, in arbëreshe), da uve moscato bianco rifermentate in bottiglia. È l’ultima creatura dei Musto Carmelitano (e dell’amico Fortunato Sebastiano, loro enologo), ed Elisabetta ne va molto fiera. Posso assicurarvi che ha perfettamente ragione.
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