Non avevo veramente capito l’amore che da queste parti mettono nei loro vini, fino a che non è arrivato l’autunno. Solo allora ho potuto vedere i fruttai in azione, con le uve ben distese, grappolo per grappolo. La sensazione è che qui ogni singolo acino sia considerato decisivo per la riuscita di un buon vino. Di fruttai ce n’è di ogni tipo e dimensione. Una volta erano nei solai delle abitazioni, ora spesso sono spazi autonomi. Per motivi di razionalizzazione del lavoro, molti produttori sono passati ai plateau di plastica, ma quasi tutti hanno riservato una parte dello spazio alle antiche arele, i graticci di bambù tenuti su da intelaiature in legno. La mia folgorazione l’ho avuta al podere della vigna Sant’Urbano, della famiglia Speri. Provate a immaginare un grande salone, con degli enormi letti a castello di legno scuro, alti più di dieci piani. E sui letti, a dormire, migliaia e migliaia di grappoli profumati. Sulla vigna di Sant’Urbano interviene Chiara Speri: “Il vigneto Sant’Urbano è il nostro fiore all’occhiello. Appartiene alla nostra famiglia dalla fine dell’800, e un tempo essere in collina comportava più svantaggi che altro. In quei tempi le aziende non facevano monocultura, e il vino era un prodotto fra gli altri. Quel fondo era a mezzadria, costava troppo, e la famiglia decise di metterlo in vendita. Rimase a disposizione per qualche anno, parliamo dell’inizio del ‘900, ma nessuno volle acquistarlo, e questa fu la nostra fortuna, oggi è ritenuto tra i vigneti migliori della zona, per terreni ed esposizione. Tra l’altro, negli anni ’70, decidemmo di vinificare separatamente quelle uve, perché erano davvero speciali, e quell’Amarone fu commercializzato evidenziando il concetto di cru, che al tempo era quasi sconosciuto in Valpolicella. Fu una scommessa, all’epoca producevamo un Amarone che metteva insieme le uve di tutti gli appezzamenti, che col tempo eliminammo per concentrare la massima qualità proprio sull’Amarone Sant’Urbano”.
L’azienda Speri è a Pedemonte, una piccola frazione di San Pietro in Cariano. Me ne faccio raccontare la storia da Giampaolo Speri. “Siamo nati alla fine dell’800, e, come tutte le aziende agricole dell’epoca, non eravamo specializzati, si produceva di tutto. I filari erano distanziati, e in mezzo c’era il grano o la medica per gli animali. Già negli anni ’50 cominciavamo a essere una bella azienda, avevamo diversi mezzadri. Vendevamo vino sfuso, in damigiana, la bottigglia è un fenomeno relativamente recente. Oggi in azienda siamo in sei. C’è Carlo, della quarta generazione, che ci guida dall’alto della sua età; poi c’è Alberto, che segue la parte produttiva,enologica; Gianpietro segue la parte agronomica; io, Gianpaolo, che curo la parte amministrativa, e Chiara e Luca, figli di Carlo, che seguono le vendite, sia con le visite in azienda che all’estero.
Abbiamo sempre mantenuto un legame con la terra, decidendo di vinificare solo le nostre uve. Oggi siamo arrivati alla decisione di trasformare l’azienda a conduzione biologica, per rispetto della terra e dei consumatori. Certo, Il business ti vorrebbe sempre sul mercato con quantità maggiori, ma l’integrità di un produttore passa anche dalla consapevolezza di dover dire: “il nostro vino è finito”.
video: Mauro Fermariello montaggio: Mauro Di Schiavi
di più: www.speri.com
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