Ostra Vetere, località Pongelli. Ci si arriva superando colline coltivate a grano e girasole, lungo strade deserte come solo nelle pubblicità di automobili.
Ampelio Bucci mi sta aspettando, ma prima di iniziare facciamo un salto al bar per un caffè – la sua cortesia non prevede un approccio al lavoro troppo rude – e una breve visita in azienda. La sede è costituita da diversi edifici, strutture semplici, da vecchia casa colonica, fra le quali c’è una stanza-museo dove Ampelio raccoglie reperti della civiltà contadina. «Li baratto con qualche cassa di vino» mi spiega.
In realtà, Ampelio è più facile incontrarlo a Milano, dove vive e lavora, «seguo l’azienda da quando avevo tredici anni, ma ho capito presto che mi sarebbe andata stretta. Ho deciso di studiare a Milano, alla Bocconi, e di lavorare lì come consulente aziendale. Mi sono organizzato per gestire l’azienda agricola il fine settimana, e per anni sono sceso il venerdì e risalito a Milano la domenica, di notte, in treno. In quegli anni Milano era stimolante, e poi sono sempre stato convinto che il vino si venda in città, non in campagna».
Più che vignaiolo, Ampelio si sente agricoltore: «La nostra è un’azienda agricola, che nelle zone collinari fa anche il vino. Abbiamo 350 ettari di coltivazioni annuali e trenta di vigne, nelle colline più alte, dalla parte che scivola verso Jesi. Pratichiamo da sempre un’agricoltura sostenibile, non ripiantiamo mai due anni di seguito la stessa coltura. Produciamo dell’ottimo grano duro, che impegna circa 150 ettari. Ci sono 32 ettari di vigneto, tra Montecarotto e Serra de’ Conti. 26 sono di Verdicchio, e il resto vitigni rossi classici dei Castelli di Jesi, Montepulciano e Sangiovese».
La scelta di produrre vino è stata fatta per avere un prodotto in cui fosse riconoscibile la “firma” del produttore, e di conseguenza anche il prezzo non fosse imposto da altri. In controtendenza con gli anni ‘70, decise di piantare Verdicchio invece che vitigni internazionali, «ricordavo alcune vecchie bottiglie della mia gioventù, e pensavo che dal vitigno si potessero tirare fuori un prodotto molto diverso da quello in circolazione». E di affidarsi a un enologo, Giorgio Grai, «un palato internazionale, un mago dell’assemblaggio. Più che un enologo, un maestro. Non si limita a fare, insegna a fare. L’inizio è stato durissimo. I vini erano buoni, come adesso, ma era deprimente andare nei ristoranti, ci dicevano: “È ottimo, ma non posso proporre Verdicchio ai miei clienti”. Per fortuna, più ci si allontanava dall’Italia, meno era probabile che ne conoscessero la nomea di vino comune. Tanto che uno dei miei primi clienti è stato un importatore americano, Neil Empson. In quel periodo fui molto aiutato dalle guide, smentisco quelli che le giudicano inutili. Cominciarono a scrivere “un Verdicchio buono”, poi “un Verdicchio ottimo”, e intanto si affermavano altri bravi produttori, facendo crescere la considerazione del vitigno. C’è da dire che tuttora esistono pregiudizi, i ristoratori preferiscono vini più alla moda, nonostante oggi, dai tecnici, il Verdicchio sia considerato il miglior bianco autoctono d’Italia, o almeno tra i primi tre. La mia prima intuizione fu capire di non essere capace di fare il vino, e trovare quindi qualcuno che mi potesse aiutare. La seconda, visto che a me piacevano vini complessi, fu non fare una sola grande vigna, ma cinque più piccole, dai 200 ai 400 metri d’altezza. Pensavo che le differenti altezze, e le diverse giaciture, mi avrebbero dato vini mai uguali fra loro, ognuno con le sue peculiarità, da assemblare in seguito. Ora le vigne sono sei, 3-4 ettari ciascuna. Produciamo, oltre ai rossi, due Verdicchi. Uno è il Villa Bucci Riserva, e l’altro quello dell’ultimo anno; che non è mai l’ultimissimo perché il carattere di questo vino si esprime meglio con il passaggio del tempo. Emerge la mineralità, scompaiono i profumi primari, di fiori e frutta, che sono tipici di tutti i bianchi e li rendono banali. Viene fuori il territorio, si crea un bouquet più ricco e complesso. Nei grandi vini non si deve andare a ripescare ogni singolo odore, ma l’insieme. Mi piacerebbe poter dire: sento il profumo di Villa Bucci».
video: Mauro Fermariello montaggio: Mauro Di Schiavi
di più: www.villabucci.com
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