Scurzolengo, Monferrato. Nadia guida il suo rumorosissimo fuoristrada, diretta alle vigne, e intanto racconta. A un certo punto se ne esce con: «Adesso non vogliamo più chiamarli vini naturali, ma sovrannaturali». Poi si gira verso di me, che devo sembrarle perplesso, e ride. Fa sempre così, ogni volta che dice qualcosa di particolare termina con uno “Yuk yuk” che mi ricorda Pippo, l’amico di Topolino. Impossibile non trovarla simpatica.
Facciamo un giro per le vigne, quelle di grignolino e ruché. Le uve sono quasi pronte, mancano pochi giorni alla vendemmia, Nadia parla e intanto assaggia gli acini, mi spiega le differenze tra i due vini – il grignolino più ruvido, il ruché più complesso – mi dà qualche cenno geografico e poi passa a raccontarmi della sua scelta di diventare vignaiola. Scelta obbligata, diremmo noi, visto che i genitori erano già lì a produrre vino da trent’anni. Ma Teresa e Ottavio Verrua avevano fatto i loro piani; nessun figlio maschio cui affidare l’azienda, le tre figlie ben avviate agli studi, e una pensione vicina per poter abbandonare le fatiche della campagna. Conti senza Nadia, però, che a vent’anni scopre il vino, si iscrive a corsi di degustazione e poi di marketing, e decide che la sua vita sarà quella lì, quella dei suoi genitori. E loro capiscono che la pensione si allontana, non possono abbandonare la figlia ad affrontare quel lavoro così impegnativo. Qualche rimpianto, ma “a me piace, finché ce la faccio va bene così”, mi dice Teresa con un tono che più piemontese non si può.
Inizia così un lungo braccio di ferro, che dura ancora, con Nadia che deve conquistare centimetro per centimetro il suo spazio nella Cantina Tavijn per vincere lo scetticismo e le ansie protettive dei genitori. Nadia torna spesso su questi temi, ci si arrovella, ma poi stempera il tutto con una battuta finale. Il primo passo è l’imbottigliamento, provato con molta cautela. Poche centinaia di bottiglie, che sono andate raddoppiandosi di anno in anno, fino alle attuali trentamila. Ma per i vecchi clienti c’è ancora la possibilità d’acquistare dello sfuso. Poi son cominciate le sperimentazioni, che han portato i vini della Cascina Tavijn sui banchi delle fiere dei vini naturali (in questo video la trovate al minuto 4’00”). La svolta arriva con una barbera che non aveva superato gli assaggi per la DOC; Nadia le mette un bel nome, La Bandita, e un’etichetta eccezionale, opera di Gianluca Cannizzo, e le bottiglie vanno a ruba. Sulla scia, arriveranno Ottavio, grignolino, e Teresa, ruché. Non so perché, ma a me viene in mente il dott. Freud.
Dalle vigne passiamo ai noccioleti, “più spettinati di quelli dei vicini” dice Nadia, dove troviamo Ottavio, Tavijn per gli amici, perché il più piccolo dei fratelli. Stesso fisico della figlia, forte e magro, è impegnato con la raccoglitrice delle nocciole, in un turbine di polvere e rumore. “Sono instancabili”, dice Nadia orgogliosa. E io capisco perché sognasse la pensione.
Poi tutti a tavola, dove conosco Pietro (marito, ristoratore a Torino), Bianca e Caterina (figlie, piccole studentesse riluttanti), Kaja (stagista giapponese). Un bel pranzo allegro, con Teresa a dirigere il tutto, innaffiato da vinelli scarichi ottenuti dall’ultima premitura dei raspi, ma messi in bottiglie di gran pregio. Una famiglia originale, in tutto. Yuk yuk.
Bellissima testimonianza, grazie Mauro e grazie Nadia. E grazie Ottavio e Teresa.
Bravi ! Bellissima scelta di vita e di gusto ! Salute yuk yuk