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Presentazione Slow Wine. Mi avvicino al tavolo dei trentini e chiedo: “Chi di voi si fa intervistare?” Tutte le braccia si tendono nella stessa direzione, come a dire “è lui che sa!”.
Il prescelto è un signore dalla faccia simpatica e dalla parlantina sciolta, Mario Pojer, e mentre lui parla non faccio che pensare che è identico ad Asterix. Stessi baffi, stessa arguzia.
Quando decido di andare in Trentino, la prima visita è alla sua azienda, la Pojer e Sandri di Faedo.
Qui incontro anche il socio, Fiorentino Sandri; lavorano insieme praticamente da sempre (37 anni); sembra il batterista di un gruppo rock anni ‘70, e si occupa della parte agronomica dell’azienda, lasciando a Mario il lavoro in cantina e le pubbliche relazioni (cioè, i rompiballe come me).
Fiorentino è indaffaratissimo, si presta a foto e intervista e scappa via; io resto sul groppone di Mario, che mi adotta per tutta la trasferta in Trentino.
Il primo giorno visitiamo l’azienda, le cantine, i vigneti in Val di Cembra, un ristorante (dove mi fa provare i vini degli altri), poi mi porta in cima a una montagna per mostrarmi un progetto nascente, infine (ormai è buio) visitiamo l’acetaia, dove annuso gli aceti più incredibili.
Mario ha l’entusiasmo di un ragazzo. Mi racconta degli inizi, nel ’75, dove due ventenni mettono insieme pochi risparmi e un po’ di terra (2 ha), e provano a fare il vino.
Sarà stata l’incoscienza, ma va subito bene. Una bella etichetta (un’incisione di Dürer), ma soprattutto un innovativo Müller Thurgau li impongono all’attenzione del mercato. Seguono uno Chardonnay ed una più autoctona Nosiola, li nota anche Veronelli, ed eccoli così in pochi anni nei ristoranti newyorkesi. Sembra una favola, ma dietro ci sono talento, tenacia e voglia di capire. Mario ha una testa da scienziato, ogni problema tecnico diventa una sfida; l’uva arriva in cantina troppo sporca? Ecco una “lavatrice”, che elimina le impurità ed esalta i lieviti autoctoni. Ossidazioni nella vinificazione dei bianchi? Ecco una mongolfiera che insuffla azoto, e il problema è risolto. Tutto brevettato, e con successo internazionale.
E poi, tanto studio; ogni anno, a stagione conclusa, si andava dall’altra parte del mondo a vedere cosa facevano gli altri, e ad accumulare vendemmie su vendemmie.
Oggi sono una bella realtà, 26 ettari per 250.000 bottiglie, con la soddisfazione di essere un riferimento nel territorio.
Nei giorni seguenti Mario mi procura gli appuntamenti con gli altri produttori e mi invita ad una degustazione con il prof. Fulvio Mattivi, di S.Michele all’Adige, e il prof. Waterhouse, dell’università di Davis, California. Avete visto le foto delle bottiglie in fondo all’articolo?
Ecco, non le ha aperte tutte, ma quasi. Fortuna che l’albergo era molto vicino.