Più che una cantina sociale, la Cantina Kurtatsch sembra un’elegante pensione alpina. Solo i particolari della decorazione centrale – tralci di vite, grappoli, una bigoncia – mi ricordano che qui si produce vino. E che dentro mi aspetta in ufficio l’enologo Othmar Donà, che da quasi trent’anni col suo lavoro fa sì che questo vino sia buono. Ascoltiamolo. «La Cantina Kurtatsch è nata nel 1900, con quaranta soci; decisero di associarsi, mettendo insieme tremila quintali d’uva, per vendere insieme quel vino che da soli non riuscivano a distribuire.
Così sono nate le cantine sociali in Alto Adige, i viticultori si sono uniti per far fronte comune alle difficoltà. Nel 1925 fu costruita una nuova cantina, e oggi i soci sono 195, come 195 sono gli ettari coltivati. Questi numeri consentono, nelle annate difficili, di poter vendemmiare il 30-40% della produzione in pochi giorni, tutta la famiglia viene coinvolta nella vendemmia. In un ettaro in genere ci sono più varietà, due/tremila metri ciascuna, così in un giorno si riesce a portare a casa tutta la produzione matura. Ovviamente noi seguiamo i soci in tutte le lavorazioni durante l’anno, per assicurarci che il prodotto sia conforme alle nostre esigenze. I soci possono chiamarci quando vogliono, e abbiamo tecnici che escono tutte le settimane per le visite aziendali.
Riportano poi tutti i dati in cantina, e le loro indicazioni incidono anche sul prezzo finale delle uve. Certo, in alcune situazioni l’ideale sarebbe avere un’unica conduzione, per realizzare dei vini speciali; ma volendo si riescono a creare condizioni simili a uno specifico cru. Nel caso del nostro Sauvignon Kofl, abbiamo selezionato vigneti della stessa età e con la stessa esposizione, e fatto un piano di lavoro omogeneo per i cinque produttori scelti così da ottenere uve molto simili tra loro. Ma anche la diversità può essere un’arma in più; terreni diversi, con diverse esposizioni, possono dare un blend che alla fine risulta più interessante di un vino prodotto da una singola vigna.
L’ Alto Adige è famoso nel mondo per i suoi vini bianchi; le escursioni termiche sulle colline danno vini fruttati, minerali, con la giusta acidità. Ma vigne poste a 250/350 metri, con terreni argillosi ed esposte a sud-est, possono produrre vini rossi importanti. Da noi al momento rappresentano il 33% della produzione, ma l’aumento delle temperature ci sta spingendo ad incrementarne le superfici. Qui in Bassa Atesina abbiamo una temperatura media di due-tre gradi superiore che nel resto dell’Alto Adige, la fioritura e la maturazione delle uve sono avanti di un paio di settimane, i vini rossi maturano meglio in queste condizioni, sviluppando aromi fisiologici maturi.
Sono entrato in cantina nel 1992; allora il 70% delle vigne era piantato a Schiava, più un po’ di Lagrein e di Gewürztraminer, e in collina del Pinot bianco. Dopodiché il mercato si è aperto a nuovi vitigni, mentre la Schiava incontrava problemi di vendita. Si decise così di dare più spazio ai vini bianchi, e alla Schiava si sono dedicati solo i terreni più vocati, eliminando le vigne poste troppo in basso o troppo in alto; i risultati sono stati ottimi, come dimostra la nostra Schiava Sonntaler, fatta con vecchi vitigni di oltre cinquant’anni. Così il Lagrein, altro autoctono, si è ben sviluppato negli ultimi vent’anni; sono vini che si producono solo qui, e hanno la possibilità di ritagliarsi la loro fetta di mercato. Gli ultimi anni hanno dimostrato che abbiamo fatto bene il nostro lavoro, e allora andiamo avanti così».
È ora di pranzo, decidiamo di andare a mangiare qualcosa in paese. Othmar ordina una Schiava, «quando dopo cinque anni apro una bottiglia, ripenso al lavoro dei soci in vigna, e al cuore che ci abbiamo messo noi in cantina. Se la trovo ottima, provo davvero un grande piacere». E tuffa il naso nel bicchiere con evidente soddisfazione.
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