L’ingresso dell’agriturismo la Sovana è maestoso, una lunga strada bianca tra due filari di cipressi.
Le strutture sono in pietra, mentre il ristorante ha grandi vetrate che affacciano sulla piscina.
Tutto intorno, vigneti indorati dalla luce del tramonto.
Siamo a Sarteano, sulle colline senesi, lungo una delle strade del vino della Toscana, praticamente in Paradiso.
Mi attende per cena Giuseppe Olivi, costruttore con la passione per la campagna. Passione che lo ha portato nel ’90 a creare La Sovana, con la moglie Giovannella che oggi la dirige, e a prendere la decisione di vinificare nel 2000, con l’aiuto del figlio Riccardo.
L’Olivi è un imprenditore di successo, sicuro di sé, e quando parla non fa giri di parole.
A tavola mi fa un breve interrogatorio per capire chi sono e cosa cerco, mi chiarisce che da lui non avrò una lira, poi arriva il vino (Orhora), “senti com’è buono questo, Verdicchio, Sauvignon Blanc e Viognier””, ci rilassiamo e passiamo al tu.
Mi racconta della nascita della Sovana, della sua crescita, e della decisione di acquistare il podere Le Buche per cominciare a produrre vino, spinti dalle richieste degli ospiti. Sono 27 ettari, con vitigni internazionali (Merlot, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot, Sauvignon Blanc, Viognier) e locali (Sangiovese, Malvasia, Trebbiano, Verdicchioe Pugnitello). Giuseppe ha una parola buona per tutti i suoi vini, ma gli occhi gli brillano davvero quando parla del Pugnitello.
E’ un vitgno autoctono, il cui nome deriva dalla forma del grappolo, quasi scomparso per le scarse rese e riportato alla luce dal lavoro del prof. Bandinelli dell’Università di Firenze. Ne apriamo una bottiglia, e non posso che dargli ragione.
L’azienda si avvale della collaborazione di Andrea Paoletti, enologo, Laura Bernini, agronoma, Daniel Schuster, fisiologo della vite, e a coordinare tutto c’è Beatrice Calussi, agronoma tuttofare.
Si punta alla qualità, si interviene manualmente più volte, dalle potature ai diradamenti, fino alla cernita degli acini in cantina.
Intanto la sala si va riempiendo, e l’atmosfera è decisamente internazionale; quattro tedeschi, una coppia di olandesi, una di giapponesi e poi due giornalisti russi.
Ad ogni arrivo, Giuseppe si alza, va al tavolo degli ospiti e si intrattiene per qualche minuto. Quando torna glielo faccio notare, e lui mi spiega che da quando hanno aperto c’è sempre stato qualcuno della famiglia a ricevere e a cenare con gli ospiti. E’ un piccolo gesto che spiega molte cose: la ricerca della qualità, l’orgoglio del lavoro fatto bene, l’attenzione per gli ospiti. E l’ottimo sigaro che mi offre dopo cena mi rafforza nelle mie convinzioni.
Per saperne di più: www.lebuche.eu
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