Non è stato semplice arrivare ad Hans Terzer, enologo, cuore e motore della Cantina San Michele Appiano. Sono giorni di vendemmia, e durante l’incontro sembra essere sulle spine, sa che a momenti arriveranno centinaia di rimorchi carichi d’uva, e lui deve essere pronto a riceverli. Provo a dargli due indicazioni per la video-intervista, ma con uno sguardo mi fa capire che non c’è niente da spiegargli, e allora partiamo.
«La Cantina San Michele Appiano nasce nel 1907, ancora sotto l’impero Austro-Ungarico, un tempo in cui i vini bianchi erano quasi sconosciuti. Era di moda la Schiava, e gran parte della superficie vitata dell’Alto Adige era fatta da uve a bacca rossa. Io ho cominciato a lavorare qui nel 1977, ho trovato una situazione in cui i vini rossi rappresentavano l’85% della produzione; l’era dei bianchi è cominciata con il sottoscritto. Ho subito intuito che questa terra era vocata per i vini bianchi e ho cominciato a sostituire i vitigni, sempre nel rispetto di ogni singolo contesto.
Oggi contiamo 385 ettari, coltivati da 340 soci; in prevalenza sono ad Appiano, ma alcuni viticoltori hanno i terreni a Termeno, Caldaro, Cortaccia e verso la conca di Bolzano. Questa zona non è uniforme; si va dai terreni calcarei ai vulcanici fino agli alluvionali. Siamo a 400 metri d’altitudine, scendiamo fino ai 250 verso il Lago di Caldaro, e saliamo a 700 ad Appiano Monte, e addirittura a 900 a San Genesio e a Corona sopra Cortaccia. Sono quindi zone principalmente di vini bianchi, come il nostro classico, il Pinot bianco di Appiano Monte, ai piedi della Mendola. Nelle zone più fresche troviamo il Sauvignon, un vitigno giovane, arrivato qui negli anni ’90, mentre il Pinot bianco esiste in questa zona da 170 anni. Poi c’è dello Chardonnay, del Pinot grigio, nelle zone più calde abbiamo piantato Gewürztraminer, nelle più fredde Müller-Thurgau o Riesling. La Schiava è molto diminuita, sostituita da bianchi e dal Pinot nero, un vitigno nobile, forse difficile, ma che ci dà grandi risultati, soprattutto ad altezze medie, nelle zone fresche. In quelle più calde – Bolzano, Termeno, Cortaccia, Lago di Caldaro – invece troviamo Merlot, Cabernet e un po’ di Lagrein.
Tanti soci vuol dire tante teste, tanti modi di pensare; bisogna far capire, e credo d’esserci riuscito abbastanza bene, che tutti devono tirare la corda dalla stessa parte, tutti devono produrre qualità. D’altra parte, dico sempre che in Alto Adige siamo condannati alla qualità, non c’è altro modo per competere con le grandi regioni del vino. Ma tanti soci significa anche avere vigneti in zone diverse, e una grande varietà di vitigni. Sono qui da oltre quarant’anni, credo di conoscere ogni vigna e ogni famiglia che lavora per la cantina, anche da più generazioni; posso vantare una squadra di bravissimi viticoltori, che lavorano molto bene in vigna nella selezione delle uve, e la considero la nostra carta vincente. E se dico domani c’è da tirare giù il Pinot nero ché arriva la pioggia, loro il giorno dopo vendemmiano tutto in poche ore, tanto da mettermi in difficoltà nel lavorare tutte le uva arrivate.
Per far produrre qualità bisogna premiarla, e l’unico sistema che funziona sono i soldi; si stabiliscono prezzi diversi a seconda del pregio dell’uva conferita, e questa è una cosa che viene compresa subito. Giudico l’uva con analisi di laboratorio, ma anche per la zona di provenienza e l’aspetto; deve essere pulita, ben raccolta, con acini delle giuste dimensioni. Tutte queste cose determinano il prezzo finale».
Abbiamo finito, e Hans schizza via verso i suoi mille impegni. Lo ritroverò più tardi, mentre faccio le riprese dei viticoltori che arrivano coi trattori a consegnare l’uva. Controlla tutto, con un’espressione seria e concentrata; parla coi viticoltori, con i suoi tecnici, sfoglia tabulati, torna a controllare le uve. Fossi un socio conferitore, eviterei di deluderlo.
Alessandro dice
Da bianchista certificato posso dire che San Michele è una delle mie aziende preferite.
Bellissimo Sig. Mauro!
Mauro Fermariello dice
Molte grazie!