In questi anni passati a fare su e giù per l’Italia per Winestories, di aziente vinicole in posti belli ne ho viste davvero tante. E Köfererhof, l’azienda dove sono diretto oggi, condotta da Günther Kerschbaumer, è sicuramente tra le prime posizioni. Magnificamente esposta al sole, è circondata da montagne a 360 gradi, e si affaccia sulla splendida Abbazia di Novacella. Siamo in Valle Isarco, appena sopra Bressanone.
Arrivo in un ampio piazzale, dove c’è il ristorante di famiglia, Köfererhof anch’esso, ma ancora chiuso per fuori stagione. Per trovare Günther seguo le indicazioni di un signore, che scoprirò poi essere suo padre . Entro da una porticina in una piccola bottaia, poi in un altro locale dove c’è un ragazzo, Daniel, che con molto scrupolo immerge colli di bottiglie in un pentolino ribollente di ceralacca azzurra per sigillarle (e renderle più belle, direi).
Finalmente arrivo in presenza di Günther e della moglie Gabriele; non abbiamo troppo tempo, ci mettiamo subito al lavoro per un ritratto di coppia. Sono belli, non è difficile.
Gabriele ci lascia, e noi continuiamo con l’intervista e gli assaggi, “siamo ai confini della viticoltura italiana, a 650 metri d’altitudine. Sei ettari di proprietà e quattro in affitto, per 80.000 bottiglie all’anno, di soli bianchi. Soprattutto kerner – 25.000 bottiglie – ma anche sylvaner, importante per capire il territorio. Poi müller thurgau, riesling, veltliner, gewürztraminer e pinot grigio. Ogni tanto abbiamo avuto l’idea di mettere dei rossi, ma il microclima qui è ideale per bianchi fruttati ed eleganti, e allora dobbiamo spingere questi”.
“Ci sono stati dei cambiamenti, negli ultimi anni. Abbiamo imparato che bisogna tornare un po indietro, mettiamo il letame e non più concimi chimici. Basta erbicidi, si lavora il terreno. Insomma, si va verso il biologico”.
Usciamo a vedere le vigne intorno casa, resto affascinato dai paesaggi che circondano l’azienda. E per completare l’opera, le campane dell’abbazia cominciano a suonare.
Günther deve scappare, e allora decido di visitare l’abbazia. Ne vale la pena, credetemi. Così come la zuppa di goulasch calda che mi rianima, al bar appena fuori l’abbazia.
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