«Parla lentamente, dopo tante ore di trattore l’udito non è proprio al massimo».
È un Ignaz Niedrist stanco e accaldato che mi riceve in azienda, ma sempre con quel tono cortese e ironico che lo contraddistingue. Per prima cosa mi fa notare il grembiale, blu a righini bianchi, «è quello tradizionale dei cantinieri della zona. Siamo qui a Cornaiano da cinque generazioni, ma nel 1920 mia nonna, rimasta vedova, smise di vinificare e si limitò a portare le uve alla cantina sociale. Nel ’90 ero enologo alla cantina sociale di Colterenzio e socio in quella di Cornaiano; decisi di mollare tutto e ricominciare a fare vino in azienda, che intanto si era arricchita dei vigneti portati in dote da mia moglie Elisabeth. Facciamo come in Borgogna, se non puoi comprare ti devi sposare!» aggiunge ridendo.
«Oggi lavoriamo undici ettari, tra proprietà e affitto. Una metà a Cornaiano, l’altra ad Appiano Monte, due territori completamente differenti. Cornaiano è più caldo, soleggiato, tra i 450 e i 500 metri, con terre acide, moreniche, leggere e sabbiose. Ad Appiano Monte abbiamo il calcareo dolomitico della Mendola, siamo tra i 500 e i 600 metri, con terreni calcareo-argillosi molto vocati per tutte le varietà di Pinot. Lì produciamo il Pinot bianco, che si avvantaggia del clima fresco della zona. Del Pinot nero abbiamo invece due produzioni; una a Cornaiano, su terreni morenici, la Riserva, mentre facciamo una piccola produzione sulle argille calcaree di Appiano Monte, e si chiama appunto vom Kalk, dal calcare.
Elisabeth lavora con me, e presto arriverà ad aiutarci nostra figlia Maria, che sta terminando gli studi di viticoltura a Udine. Del lavoro mi piace tutto, sia la cantina che il lavoro in campagna. Mi preoccupa la situazione climatica, stiamo affrontando situazioni impreviste, anche estreme, che ci costringono a nuovi adattamenti. E allora sì, è un lavoro bello, ma anche molto stressante. Mentre la cantina richiede attenzione, ma ho esperienza, non è una cosa che mi toglie il sonno.
La viticoltura altoatesina ha una storia molto particolare. Molti vitigni sono stati importati, soprattutto da Francia e Germania, passando dall’Austria ai tempi del Kaiser. Anche la nostra posizione è determinante, collocati come siamo tra queste montagne, che ci portano a praticare un’agricoltura locale, spesso diversa dal resto d’Italia. Ci differenzia anche uno spirito comunitario, che spinge a remare tutti nella stessa direzione. Altrove, penso alla Toscana o al Piemonte, mi sembra che ognuno provi ad emergere da solo; qui invece vedo più gioco di squadra. Anche noi litighiamo, ovvio, ma cerchiamo di presentarci in maniera compatta, e questo mi piace».
Ho sentito parlare della biblioteca enologica di Ignaz, e chiedo informazioni. Sorride, mi sembra contento della domanda, «in famiglia siamo vignaioli ed enologi da generazioni, nel tempo i libri si sono accumulati; il fratello di mio nonno era un cantiniere carismatico nella zona di San Paolo, mi ha lasciato tanti libri, anche uno scritto da lui. Io ho proseguito nella raccolta, e adesso c’è Maria a portare avanti la collezione». Avevo pensato di fotografare Ignaz davanti alla libreria, immaginavo il contrasto dei libri col grembiale da cantina, ma per lavori in casa i libri sono tutti imballati. Decido allora di fotografare Ignaz con moglie e figlia seduti dietro una bottiglia. Sistemo la macchina sul treppiede, e mentre rialzo lo sguardo pronto a esortarli a versare il vino e brindare, mi accorgo che Elisabeth lo ha già fatto, i bicchieri sono pieni, e loro stanno già brindando con sincera allegria.
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