Arrivo in paese, e mi basta chiedere che subito vengo indirizzato alla cantina di Stefano Mancinelli. Un cortile, e un ingresso che è anche rivendita ed esposizione dei prodotti.
Il locale è piccolo e affollato. Alla cassa c’’è Fabio, il padre di Stefano. Poi, a sistemare bottiglie sugli scaffali, lo stesso Stefano, il figlio Luca, con maglia dell’Inter, e Valentina, che da una mano in negozio. Stefano ha il fisico di chi non si risparmia, né sul lavoro né a tavola, e un bel carattere fumantino. Non ricordo perché, ma nei primi due minuti di conversazione, tiro fuori l’argomento dei vini naturali. Errore. Stefano non ci crede tanto (eufemismo), e conosce molte parole per sottolineare il concetto. Mi salvo con la mossa del cavallo, scartando di lato. Indico delle macchine da distillazione, nella sala accanto, dicendo: “Ce le ha uguali il mio amico Pojer”.
Così come si era accalorato, Stefano si rilassa e sorride. « Sei amico di Mario?” Indica la distilleria. “Quelle robe sono lì per “colpa” sua, è lui che mi ha convinto a metterle, e gli sarò sempre grato. Per Mario ho una grande ammirazione, è uno che cerca costantemente di migliorarsi, è umile e preparato, è sempre stato un esempio da seguire”. Presi dall’entusiasmo decidiamo di telefonargli, e Mario mi sembra sinceramente sorpreso dalla strana coppia, ma è al primo giorno di vendemmia, e ci limitiamo ai saluti. Torniamo al lavoro, ma ormai il ghiaccio è rotto, e tutto scivola via facile. Ci sistemiamo proprio in distilleria, e Stefano comincia a raccontare: “Morro d’Alba è un paesino dell’entroterra marchigiano, all’altezza di Ancona, appena duemila abitanti. Ha conquistato una certa notorietà dal 1985, quando fu istituita la Doc Lacrima di Morro d’Alba. Il Lacrima era un vitigno conosciuto da sempre qui in zona, ma la cui coltivazione si andava perdendo. La Doc fu conseguita grazie all’intervento deciso del sindaco di allora, Franco Fava, che si mosse per motivi affettivi e politici, nonostante l’areale di coltivazione del vitigno fosse ormai di soli sette ettari. Non fu facile ottenerla, per l’opposizione dei produttori piemontesi, che sostenevano che il nome “Lacrima di Morro d’Alba” fosse confondibile con La Morra (uno dei paesi di produzione del Barolo) e Alba. E, in effetti, ancora molti credono il nostro un vino piemontese. È un vino unico, non c’è n’è nessuno che gli somigli, che abbia le stesse caratteristiche di aromaticità, morbidezza e corposità. Qualche piemontese sostiene somigli al Ruché, ma credo che questo sia giusto sotto l’aspetto aromatico, ma in bocca le differenze sono notevoli; il Lacrima è vellutato, mentre il Ruché è più ruvido. Viene paragonato anche al Moscato di Scanzo, un vino della bergamasca. Anche in questo caso, le uniche somiglianze sono date dai profumi. Il Lacrima, infatti, unisce ai profumi di rosa, viola e frutti rossi, una morbidezza estrema, che lo rendono diverso dagli altri vini . Non ha la struttura di un “vinone”, come possono essere Brunello o Barolo, ma ha la caratteristica che tutti i vini dovrebbero ricercare: ogni bicchiere che mandi giù, t’invita a berne un altro. Questa facilità di beva fa sì che sia un prodotto ricercato anche da chi normalmente è poco interessato al vino, piace anche alle signore astemie.
È così particolare che la sua impronta rimane ben riconoscibile anche se mescolato ad altri vini, e la sua presenza, anche in piccole dosi, marca in maniera decisa il gusto di un assemblaggio. Questo rende possibile, da parte di produttori poco seri, produrre Lacrima di Morro d’Alba con basse percentuali di uve originali. E così, se il disciplinare prevede percentuali di 85 % di Lacrima e 15 di Sangiovese, c’è invece chi queste percentuali le inverte, visto che un quintale d’uva di Lacrima va sugli 80-90 euro, e uno di Sangiovese si porta a casa con 10-15. Ovviamente, chi opera in questo modo rovina l’immagine del prodotto, e crea un danno a tuti i residenti del territorio. Perché l’immagine del Lacrima è un patrimonio, non solo per chi lo produce, ma per tutti quelli che beneficiano dell’indotto turistico che questa genera. Chi passa a trovarci in cantina probabilmente mangerà in un ristorante della zona, farà benzina e comprerà le sigarette in paese, potrebbe dormire in un agriturismo della zona. E allora dobbiamo capire che questo vino è una ricchezza per tutti, e che possiamo far diventare Morro d’Alba come una Montalcino marchigiana.
La Doc prevede l’impianto in sei areali: a Morro d’Alba, e nei sei comuni che gli ruotano intorno: San Marcello, Belvedere Ostrense, Ostra, Senigallia e Monte San Vito. Vanno escluse da questo elenco le zone di Senigallia esposte verso l’Adriatico. All’inizio eravamo in tre o quattro, a produrre il Lacrima, ora siamo una ventina, considerando tutta la zona Doc.
Sul mio sito ho scritto: ” Il vino deve avere il gusto e il profumo dell’uva con cui è fatto”. Perché io, che sto a Morro d’Alba, zona di Lacrima e Verdicchio, devo fare Lacrima e Verdicchio che siano autentici, non metterci dentro altre cose per fare chissà che. C’è chi nel Lacrima mette del Merlot, perché gli dà… (gesticola a vuoto), gli dà niente! Gli leva! Gli leva la tipicità, e finisce che vai a presentare sul mercato un vino simile agli altri, e che dovrà competere solo per il prezzo. Se invece proponi un vino unico, che non ha sostituti, il discorso economico decade. Io non faccio uso del 15% di altre uve rosse che il disciplinare mi consentirebbe, produco Lacrima in purezza, così come il Verdicchio. So di perdere qualcosa a livello assoluto, so anche che un passaggio in legno potrebbe giovare al mio vino, ma preferisco esaltare la tipicità del mio prodotto. Il mio vino è fatto solo con Lacrima, e si deve sentire».
video: Mauro Fermariello montaggio: Mauro Di Schiavi
di più: www.mancinellivini.it
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